lunedì 1 marzo 2010

No alla violenza contro le donne

I giudici confermano Niente motivazione religiosa per il delitto

di Amina Salina
Per la Cassazione non ci sono dubbi: non fu legata a motivi religiosi o culturali la morte di Hina Saleem, la pachistana sgozzata dal padre con la complicità di due generi a Brescia. Si chiude così definitivamente per la giustizia italiana l’orrendo assassinio della giovane pachistana uccisa dal padre-padrone in cui la Santachè accusò apertamente la religione islamica come movente dell’orribile mostruoso atto. Una tesi che non convince la giustizia italiana che ha confermato i trent’anni di carcere al padre di Hina adducendo motivi che nulla hanno a che fare con la fede casomai con la sua mancanza.
Secondo la suprema corte il padre omicida agì per un patologico e distorto rapporto di possesso parentale. Aggiunge la Suprema Corte - che ha confermato la condanna a 30 anni - che il padre ha sfogato la riprovazione furiosa del comportamento della figlia, perché mosso da «rabbia per la sottrazione al reiterato divieto paterno». Ciò significa che contro la legge islamica il padre si considerava come il padrone della propria figlia con poteri assoluti. Già al processo d’appello Daniela Santanchè aveva tuonato contro le moschee e gli imama colpevoli secondo lei - di avere dato un immagine distorta della donna. “Fin quando nelle moschee del nostro Paese – prosegue- sedicenti imam continueranno impunemente a propagandare dottrine che raffigurano la donna musulmana come una creatura impura e imperfetta, tragedie come quella di Hina sono destinate a ripetersi”.
Nello stesso giorno si lanciava contro l’UCOII svelando il suo vero progetto politico quello di un islam di Stato sottoposto al controllo governativo con imam nominati dall’alto ed una comunità ridotta al silenzio. “Solo negli ultimi anni – ricorda Santanchè- sono decine le immigrate musulmane giustiziate dai propri familiari solamente perché, come Hina, avevano comportamenti troppo occidentali. In questi stessi anni, i vertici dell’Ucoii, responsabili della gran parte dei luoghi di culto islamici in Italia, hanno continuato a prendersi gioco dei principi non negoziabili della nostra Carta Costituzionale, compreso quello che sancisce la fondamentale parità dei diritti tra uomo e donna. È ora che vengano chiamati a dar conto del loro comportamento”. “L’iniziativa del Movimento per l’Italia – prosegue Santanchè – in favore di una legge che prevede l’istituzione di un Registro pubblico delle nostre moschee e di un Albo professionale degli imam, affidati ad una Commissione mista di personalità italiane e del mondo musulmano democratico e riformatore, va in questa direzione. È la strada intrapresa da molti Paesi europei e sono certa che il ministro Maroni vorrà fare altrettanto. Tra la violenza fondamentalista sulle donne musulmane dell’immigrazione e la violenza del terrorismo islamico contro l’Occidente, il confine è molto più sottile di quanto possa sembrare”.(Fonte http://www.mpli.it/wp/?p=1756)
Questo nonostante il fatto che sia l’ADMI sia l’UCOII avessero condannato apertamente la violenza contro le donne non solo quella fisica ma anche quella psicologica o morale. Come dire: “non c’è sordo più sordo di chi non vuol sentire”.
salam
amina salina


Venerdì 19 Febbraio,2010 Ore: 22:49
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